Ottantamila persone, una “macchia” da 250 metri visibile anche dallo spazio con un satellite a infrarossi, un boato che si è sentito a Villasanta, Vedano, Lissone, Biassono, Lesmo, e insomma in tutta la Brianza. Dopo trecentosettanta giorni Luciano Ligabue è tornato sul palco, e lo ha fatto a Monza, all’Autodromo. Un’organizzazione perfetta per un live dal suono possente, acustica generosa grazie a casse alte venti metri e una scenografia laser con maxischermo che ha permesso di vedere e ascoltare anche a chi era più distante. Gente da Sassari, da Bologna, dal Sud Italia, ma anche tanti che al concerto sono venuti a piedi godendosi la passeggiata nel Parco che della città brianzola è il simbolo.
Era attesissimo il ritorno del rocker di Correggio, che apre lancinando l’aria con la chitarra di Libera nos a malo e ripercorre venticinque anni di carriera tra rock duro e ballate acustiche.
Il concerto dura tre ore, suonate con prepotenza, qualche momento di stanca in corrispondenza dei brani dei primi anni duemila, quando l’ispirazione era (temporaneamente) volata via. Ma da qualche tempo il cantautore emiliano ha ritrovato vis poetica e chitarre, virando verso un suono più potente e vissuto. Dieci anni di purgatorio per uscirne rinato e con un sound nuovo di zecca, da vero animale del palcoscenico. La voce, quella c’è, e migliora con gli anni: mai una stecca, perfetto nell’intonazione, mai in affanno anche nei passaggi più veloci.
A fianco a lui il compagno di mille palcoscenici, Fede Poggipollini, e una band precisa e potente. Rullate di batteria mixate come tuoni, e lo schermo che accompagna il live interagendo con le canzoni. Tre pezzi dal nuovo album Made in Italy, concept dedicato a un uomo che riflette su un passato fatto di alti e bassi, ma non ha perso la voglia di vivere e godersi l’esistenza, come nella peccaminosa “Dottoressa”.
Il Parco di Monza potrà essere cornice di eventi di prestigio grazie alla capacità organizzativa mutuata dal Gran Premio. Il vialone che lo taglia in due, illuminato a giorno, si è riempito di ragazzi che si baciavano, mamme con figli e bandane annodate in testa, stremati ma felici per aver vissuto un evento unico. Esame superato per Ligabue. Nel tempio della velocità, il cronometro sembra essersi fermato a 30 anni fa.
Come al solito il Parco Reale di Monza è utilizzato per scopi impropri, senza tener conto del suo valore storico architettonico, ma guardando solo al portafoglio. Aspetto il resoconto della giornata in termini economici come pure sono sempre in attesa dei risultati economici del Gran Premio che come ogni anno non arriveranno mai, ma si sentirà parlare solo di “opportunità” da parte del sindaco e assessori. Massacrare un prato storico quando lo spettacolo si poteva fare allo stadio calcistico (certo, si sarebbe guadagnato di meno perbacco !) è da criminali.
Non mi stupisco visto che qualche anno fa un sindaco demente voleva fare il distributore di idrogeno all’interno del parco.
Noi italiani sappiamo distinguerci sempre. Andate a vedere se in Francia fanno queste cose a Versailles, o se a Vienna le fanno a Schoennbrunn.
Stremati ma felici, però anche un po’ ignoranti.
Buonasera Giuseppe, e grazie per il suo punto di vista. Francamente non condivido. A me, ribadisco, il concerto è piaciuto, e trovo che il Parco non abbia riportato danni, tutt’altro: il pubblico si è dimostrato educato e rispettoso, merito forse anche dell’artista che non è noto per i suoi eccessi. Eventi del genere, 7/8 volte all’anno, fanno, anzi, bene, perché una parte del ricavato può essere destinata alla manutenzione del verde. Non mi piacciono i musei a cielo aperto; Monza può diventare un punto di riferimento per la musica, perché privarla di questa occasione? Quella del distributore di idrogeno è una vicenda ridicola, come tante altre, che ho seguito personalmente, e di cui, fortunatamente, si sono perse le tracce. Da giornalista sono obbligato a cercare di essere equidistante, ma, da cittadino, penso sia miope distruggere un pezzo della storia e dell’identità cittadina: c’è gente che vorrebbe demolire l’Autodromo, ma siamo sicuri che il problema della Brianza, rovinata a furia di inseguire i danè, sia quello? Cordialmente, Antonio