Un vero filmone all’americana, lungo tre ore, con tutta l’epica a stelle e strisce, musiche incalzanti comprese. Oppenheimer ha preso il testimone di Barbie e sbanca al botteghino. La pellicola racconta la storia dello scienziato newyorkese padre del progetto Manhattan, il programma che condusse alla bomba atomica. Il regista Christopher Nolan mette assieme due piani: la ricostruzione storica (della vita dello scienziato, degli anni a Los Alamos, e del processo postbellico) e i dubbi etici di Oppenheimer. Sono praticamente due film separati, entrambi girati bene, ma che sommati appesantiscono l’insieme. Nolan avrebbe potuto concentrarsi su uno solo dei due aspetti , ma avrebbe perso la patente epica a cui probabilmente teneva.
Cillian Murphy nei panni di Oppenheimer è credibile, riuscendo a immedesimarsi in tutte le stagioni della vita del fisico con naturalezza, e a renderne evidente chiarezza di pensiero, capacità organizzative e abilità di piazzista , come gli rinfaccerà un collega (“Sei un piazzista della scienza”).
Chi non conosceva la vicenda di Oppenheimer nei dettagli (come il sottoscritto) esce dalla sala arricchito, e con più di una domanda. Se è certo che un ordigno nucleare sarebbe prima o poi stato costruito da qualcuno, il film si chiede giustamente se fosse necessario sganciarlo su Hiroshima e Nagasaki, al prezzo di una carneficina di civili innocenti, quando peraltro il Giappone stava già segretamente trattando una resa. La posizione di Nolan sfuma verso il no, e tratteggia in pochi istanti la realtà di un Paese dotato di enorme potenza bellica ma guidato da una figura priva di cultura (Truman). Corsi e ricorsi della storia.
Nel complesso, a mio parere, il film dura mezz’ora di troppo ma è godibile. Un lavoro accurato, non la pellicola del decennio, ma questo potremo dirlo con cognizione di causa solo a posteriori. Francamente mi ha sorpreso vedere la sala strapiena (ed era la versione in lingua originale, con sottotitoli: tutte esaurite le altre proiezioni). Potere del marketing, del caldo o il segnale di un rinnovato interesse per la scienza in tempi dilaniati dal conflitt tra ricerca ed etica? Il tema era già stato sfiorato da Don’t look up l’anno scorso, e probabilmente segna la nostra epoca più di molti altri.