Personalmente non sono favorevole a scaricare Immuni, app di tracking. Tante le perplessità. A partire dal nome, o meglio dal naming, come si dice nel marketing. Disciplina della forma, più che della sostanza, intersecherà più volte i destini del progetto, come vedremo. Le parole sono importanti, direbbe Nanni Moretti. Innanzitutto, “Immuni” da che cosa? Al momento, dell’argomento non si sa nulla: né se immunità vi sia né quanto, eventualmente, duri. Perché, allora, chiamare così il software? Per chi non lo ricordasse: le cosiddette “patenti di immunità” sono un’invenzione giornalistica. Non esistono.
In secondo luogo, le partnership. L’app è stata sviluppata da Bending Spoons, software house milanese nota per giochini come il Live quiz, che spopolava mesi fa. Poco male, è una delle prime realtà al mondo nel settore, e immagino abbia le capacità tecniche per fare un buon lavoro, se è stata selezionata. Ma due mesi fa, all’inizio dell’operazione, si dava gran risalto al fatto che l’app fosse realizzata in collaborazione con il Centro Medico Sant’Agostino, catena di centri diagnostici attiva nel nord Italia. Clamoroso autogol, dal momento che una delle perplessità principali riguardava la privacy, e la presenza di una società specializzata in quella che potremmo definire “sanità digitale” non rasserenava.
Forse mi sono perso qualcosa, ma dove è finito il Centro Medico? Sul sito di Immuni non ve n’è traccia. Ammetto, certo, che possa essermi sfuggito qualcosa. In tal caso mi scuso. Altrimenti, la domanda è: che fine hanno fatto? Si sono defilati da sé ? Sono stati estromessi?
Quale che sia la risposta, resta il fatto che il Comitato ha selezionato il progetto in presenza di un elemento, come questo, che già di per sé mi pare invalidante. Due parole su Sant’Agostino: è la stessa catena che a inizio emergenza batteva il chiodo sui test sierologici su tutti i media disponibili (quelli che abboccavano: tra essi, molti quotidiani nazionali e reti TV) tramite interviste con l’ad Luca Foresti, più presente sulle testate nazionali di Roberto Speranza, che di mestiere – però – fa il ministro della Salute.
Già a marzo si sapeva che i test sierologici, oltre che non validati da nessun ente, erano completamente inutili per capire se l’infezione da Covid era in corso: il motivo è che non si tratta di uno strumento diagnostico, come ben sanno i medici specialisti in materia. Fallito il pressing delle lobby dei test (almeno in Lombardia), ecco quindi spuntare l’app: Foresti, uscito dalla porta di Milano, è rientrato dalla finestra del ministero a Roma. Così va il mondo.
Aggiungo il fatto che a lungo non sono stati resi noti i criteri di selezione: perché la commessa è stata affidata proprio alla società milanese? In base a quale logica? Altro elemento che non depone a favore della trasparenza, almeno di quella percepita, dal momento che le proposte presentate furono 200.
Infine, il concetto di tracciamento in sé: a me piace poco, ma questa è filosofia morale, ed è del tutto personale. Per convincermi, però, bisogna fare molto meglio di così.
Insomma, una serie di scelte mi rendono pesantemente scettico. Voi che ne pensate?