Una bandiera ucraina, come un lungo serpente da oltre cento metri, sfila per Piotrkovska, la strada pedonale più lunga d’Europa. Siamo a Lodz, terza città della Polonia. I quattro chilometri dell’ampia arteria tagliano in due l’abitato; ai tempi del comunismo, segnavano lo spartiacque tra il Vecchio Mondo, con la mesta sede del partito, e il Nuovo, con le prime luci al neon. Oggi sono il cuore di una città postindustriale che si sta lasciando alle spalle il passato e non ha niente da invidiare a quelle europee. Stessi negozi, stessi bar alla moda, stesse pettinature.
Il corteo si allunga sotto la neve. Sfilano polacchi e tanti ucraini (nel Paese sono due milioni). Per le strade chiedono pace, e una no fly zone. Qualcuno chiede cibo e indumenti; qualcuno, senza troppi giri di parole, raccoglie fondi per l’esercito del presidente Zelensky.
Poco più in là, i giovani locali escono agghindati per il weekend. Capelli impomatati, trucchi, scollature, gli approcci impacciati dei ventenni. Sorprende il contrasto. A quattrocento chilometri fischiano le bombe, c’è la guerra, quella vera; qui si prova a vivere. Basta una frontiera, per segnare, ancora una volta, il confine tra il Vecchio e il Nuovo Mondo: di là la morte, di qui la vita. Ma anche questa è normalità. C’è bisogno di non pensare.
Siamo andati a letto con il miraggio di un cessate il fuoco, ci svegliamo con la notizia dell’attacco russo a una centrale nucleare, finita in fiamme. Pericolo radiazioni. Le farmacie hanno già esaurito le pastiglie di iodio. “Sono tutte nell’est, anche i fornitori hanno terminato le scorte. Provi a ordinarle online” risponde, costernato, il dottore al bancone. Segno che la paura si è fatta largo da giorni, per non dire settimane. Da queste parti, Chernobyl è ancora un ricordo vivido. E dei russi non si fidano. “Sono matti”, dice una volontaria.
Camere sospese
A Varsavia, l’ottanta per cento delle camere d’albergo è occupato: a turisti e uomini d’affari si è sommata la frazione di rifugiati che può permettersi queste sistemazioni. La città accoglie i profughi con un abbraccio caldo, per il momento; si organizzano servizi di telemedicina gratuiti in lingua, i cinema proiettano film per bambini in ucraino, si distribuiscono schede sim e caricatori per cellulari, per consentire a chi arriva di tenersi in contatto con i propri cari.
Negli hotel della capitale, al caldo, non è raro vedere macchine di grossa cilindrata con la targa gialla e blu, borsette griffate, valigie curate.
Sono i ricchi in fuga dal conflitto.
Ma, ammassati alla stazione centrale e in quella ovest, ci sono gli altri, i disperati, materassi estemporanei gettati a terra e buste della spesa. Senza una mascherina, con il rischio che uno starnuto si trasformi nell’ennesima emergenza sanitaria.
Si dice che, soprattutto alla frontiera, siano parecchie le camere pagate da clienti che poi non si sono presentati, “sospese”, come i caffè a Napoli.
E mentre in Polonia è atteso un milione di migranti, Matteo Salvini, il leader sovranista amico di Putin, noto alle cronache internazionali per i respingimenti in mare, annuncia che lunedì verrà al confine. Magari a favore di telecamere, per postare un selfie con una felpa ad hoc, come quelle con la scritta “Berghem”. Qualcuno, per favore, gli dica che non è un videogioco.