Milano, notizia dal fronte / 4 (domenica 15 marzo). Fuori per la solita ricognizione. Sarà la domenica, il fatto che manca il traffico dei lavoratori, ma oggi la desolazione ha preso il posto del silenzio.
Il tram numero 9, quello della movida, corre dalla stazione Centrale a Porta Genova. Un solo passeggero, oltre a chi scrive. Scendiamo entrambi vicino all’Università Bocconi, simbolo della città rampante che sembra così lontana.
Mi chiedo se in questi anni non abbiamo corso troppo, peccato di vanità. Non c’entra col virus, ovviamente, il contagio non è la punizione divina per l’hybris. Ma accosto queste vie deserte allo spirito competitivo che vi si respirava fino a pochi giorni fa, e non riesco a scrollarmi la sensazione di una gigantesca giostrina che ha smesso di girare. L’onnipotenza del business ridicolizzata da un virus grande qualche milionesimo di millimetro. Che contrasto stridente.
Chissà come sarà la città d.C., dopo il Covid. Chissà se esiste un modo per salvare il lato umano (che stiamo riscoprendo) e coniugarlo allo sviluppo economico (di cui abbiamo bisogno).
Mi incammino a piedi verso la Darsena e i Navigli. Spettrali (video). Qui, con 15 gradi e un cielo che alterna nuvoloni e schiarite, oggi sarebbe stato un brulicare di persone. Invece non c’è nessuno. Risalgo corso di porta Ticinese: solo clochard, mai visti così sconsolati, senza nessuno che dia loro una moneta.
Via Torino, strada dello shopping: pochi passanti. Oltre alle farmacie e agli alimentari, l’unico negozio aperto è quello di Iliad, la compagnia telefonica. Quattro o cinque commessi, in piedi, nelle loro divise rosse. Mi sembrano imbarazzati quando getto lo sguardo oltre l’ingresso. A ragione. C’è da chiedersi per quale motivo stiano lavorando, con che tipo di autorizzazione siano stati mandati qui a rischiare di ammalarsi, dato che gli esercizi commerciali sono tutti chiusi.
Torno a casa in metropolitana. Una persona per vagone, in media. Avverto un senso di sporcizia. Confermato: qualcuno ha defecato nei corridoi.
Chi è qui vorrebbe essere altrove. Non c’è gioia nei volti che incrocio, neanche l’ombra di un sorriso. Ci studiamo da dietro le mascherine. Milano oggi sembra una città abbandonata dopo un disastro atomico. Compro i giornali, e non vedo l’ora di risalire in superficie, chiudermi il portone dietro le spalle, e aspettare che venga domani.
