economia, sport

Milano vince le Olimpiadi. Ma è fuori dai “giochi” che contano

Diciamocela tutta: non era difficile. Milano (assieme a Cortina) ha ottenuto dal Comitato Olimpico Internazionale l’assegnazione delle Olimpiadi invernali 2026. La città festeggia; ma non c’era, a dire il vero, questa gran competizione. Le candidature di Calgary (Canada), Sion (Svizzera), Graz (Austria), Sapporo (Giappone) hanno perso mordente una dopo l’altra;  l’unica avversaria rimasta in lizza era la capitale svedese. Dove, peraltro, la gente era tiepida al riguardo: solo metà degli abitanti del paese favorevole. Naturale convergere su chi ha mostrato più interesse (in Italia, pare, il sì sfiora l’80% degli intervistati).

La città, galvanizzata dall’effetto Expo, si accaparra, così, un altro evento in grado di portarla sulla scena internazionale. Ottimo per il ritorno d’immagine, se la macchina funzionerà; ma le ragioni per esultare mi pare vadano cercate esclusivamente nel marketing territoriale.

In realtà le Olimpiadi invernali sono un evento che spesso si traduce in perdite colossali dal punto di vista economico e lascia cattedrali nel deserto a livello infrastrutturale. Per questo non c’è la fila per organizzarle. Inoltre, durano poche settimane, e sono rivolte a un pubblico ristretto di appassionati: non sembra abbastanza per generare un impatto paragonabile a quello di Expo2015, che ha generato turismo e business per sei mesi, oltre a lasciare un’area su cui sta sorgendo un importante distretto dell’innovazione. Persino allora il conto economico fu negativo nell’immediato; ma le ricadute per la città e il suo ecosistema ripagarono ampiamente la scelta di assumersi l’onere.

Valeva la pena di riprovarci con le Olimpiadi? Probabilmente, sì; ma è un lusso che solo una città funziona e, in fondo, sull’immagine ci vive, può permettersi. Personalmente, ero contrario all’organizzazione dei Giochi a Roma, che ha ben altri problemi da risolvere.

La riflessione che mi viene in mente è, però, un’altra. Quando, causa Brexit, si trattò di assegnare la sede dell’EMA (l’Agenzia Europea per il Farmaco), Milano perse al fotofinish  la sfida con Amsterdam, appoggiata da tutto il Nord Europa. L’Italia, allora, fu sostenuta solo dai piccoli.

L’EMA, quella sì, era un obiettivo strategico, i cui effetti in termini occupazionali, di business e di peso politico si sarebbero dipanati per generazioni. Ma, in quel caso, non fummo quasi considerati dai big del continente, probabilmente pagando la percezione di inaffidabilità, lo scarso appeal per i dipendenti, e anche le relazioni internazionali. Come dire, finché si tratta di “cosucce”, divertitevi pure. Ma i giochi  “seri”, quelli della politica, si fanno ancora altrove.

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