politica

Perché Draghi premier non è una buona idea

Non è un deus ex machina. Mario Draghi è un grande banchiere, un uomo di polso e di esperienza che ha saputo guidare con mano ferma l’euro fuori dalla crisi del 2012. Ma mitologicizzarlo (neologismo voluto) come l’uomo che salverà l’Italia nella fase post pandemica è un errore. Innanzitutto, perché Draghi è un tecnico, non un politico.

Già nel 2011 a Mario Monti toccò l’ingrato compito di governare l’Italia. Gli fu chiesto, e l’assolse come poteva, con rigore professoriale e assumendosi la responsabilità di scelte impopolari assieme a Elsa Fornero. Scelte necessarie (la riforme delle pensioni lo era, esodati a parte).

Per tutta risposta, l’ex rettore della Bocconi fu bistrattato da molte forze politiche negli anni a venire, anche da chi l’aveva sostenuto. Dai populisti e dagli altri, almeno da quelli che amano farsi trovare sempre dove spira il vento.

Non è strano. La storia  insegna da secoli che i tecnici al potere (tecnocrazia) sono spesso impopolari, quando non rischiano di far danni. Possono essere utili in certe fasi, ma il rigore del cattedratico va temperato con le virtù della mediazione e del compromesso, la sensibilità nel sapere leggere i tempi, la capacità di comunicare al popolo le decisioni assunte. 

Ora, Draghi non ha mai avuto bisogno di comunicare, e conosce, probabilmente, sin troppo bene quali sono i problemi dell’economia italiana per perdere tempo. Non è un mistero: sono noti a tutti gli economisti, non conta la scuola di pensiero

C’è un Sud che viene trascinato e non è in grado di partecipare alla spinta, ci sono corruzione, evasione fiscale, criminalità infiltrata nella pubblica amministrazione, nepotismo, assenteismo, clientelismo. Parole che un politico conosce bene, sa maneggiare; lemmi, insomma, di fronte a cui non si scompone, ma che sono in grado di instillare un senso di profondo fastidio nel tecnico abituato a ragionare nell’empireo delle proprie conoscenze, e a rivolgersi a una platea che parla (bene) la sua lingua. In compenso, nel nostro paese mancano ricerca, innovazione, merito, sburocratizzazione, meno sussidi e più mirati. Agire è necessario, ma, oltre a mano ferma, serve gradualità. 

Per questo Draghi, a mio avviso, non accetterà mai di fare il presidente del Consiglio: si troverebbe con le mani legate al momento di intervenire, non potrebbe incidere, e, se lo facesse, finirebbe a fare da parafulmine fino alla fine della legislatura. A meno che, ovviamente, non possieda un lato nascosto e un’ambizione che ancora non gli conosciamo, capaci di renderlo immune al fuoco di fila a cui sarebbe sottoposto anche da parte di chi oggi lo invoca. 

Veniamo, così, a un altro fatto. Qualcuno nei giorni scorsi si è meravigliato di vederlo al meeting di CL a Rimini. Il fatto è che di Mario Draghi sappiamo, certo, molto; eppure, alla fine, quasi nulla. Nonostante abbia passato i settant’anni e sia rimasto a lungo sotto i riflettori, il suo understatement è proverbiale. Lo imponeva il ruolo, non meno del carattere.

Ma chi è il Draghi privato cittadino? Quali sono i valori in cui si riconosce? Che tipo di figure ammira, e che cosa pensa degli ultimi quarant’anni di vita del paese, quelli, cioè, su cui esporre un pensiero significa sbilanciarsi?

L’ex presidente della Banca Centrale Europea è stimatissimo all’estero, e questo potrebbe aiutare; ma non illudiamoci che non sia un rigorista alla Monti. Non potrebbe essere altrimenti, dato il suo percorso, anche distinguendo tra “debito buono” e “debito cattivo”, come ha fatto nel corso dell’intervento a Rimini.

Lui, per il momento, sembra non pensarci, a salire a Palazzo Chigi. E forse le speculazioni sul suo nome sono solo il tentativo di destabilizzare il governo in carica. Il solito giochetto. Troppo facile, così.

Non ci sono, purtroppo, sostituti all’altezza per il presidente del Consiglio al momento. Non lo è certo Zingaretti, men che meno il leader della Lega. Conte, dal canto suo, gode del non trascurabile vantaggio di avere imparato dal nulla a fare il premier in due anni, grazie a talento innato e  una robusta dose di applicazione. Ha affrontato bene l’emergenza; quello che gli manca, al momento, è la visione. Dovrà dimostrare, ricostruendo, di essere un leader vero, ma cambiare in corsa senza alternative non è utile. 

All’Italia serve un presidente dotato di pensiero ad ampio spettro, capace di canalizzare il disagio del paese e che disponga di una solida rete di relazioni e conoscenze, di quelle che si sviluppano in anni di politica e lui ha solo da poco cominciato a costruire.

Perché, come diceva Rino Formica, “la politica è sangue e merda” e alla fine le cose funzionano meglio se chi è al comando è capace di sporcarsi le mani. E Draghi, nei suoi abiti impeccabili, nelle sue espressioni più british di quelle dei britannici (non dimentichiamo che a Downing Street siede Boris Johnson) mi sembra inadatto a prendervi parte, se non come arbitro.

Servirebbe, insomma, una figura alla Renzi. Carisma, strategia, polso. Peccato che l’ex segretario del PD abbia dimostrato più volte un narcisismo superiore al senso dello Stato,e non sia, quindi, un papabile. Persino un Berlusconi avrebbe potuto andar bene, e chi scrive non è mai stato un fan del Cavaliere; ma ha superato ampiamente i limiti di età.

Rebus sic stantibus, se davvero si vuole cambiare cavallo, meglio cominciare a studiare soluzioni effettivamente praticabili. Sono convinto che Draghi non ci starà a fare l’agnello sacrificale di cui la partitocrazia ha bisogno per riprodursi tal quale.

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