cronaca, politica

La fine del sogno

Adesso che se ne sono andati i cronisti, attorno a mezzanotte c’è solo silenzio ad Arcore, piccolo borgo brianzolo divenuto noto negli anni per essere residenza del defunto. Di fronte alla villa che fu di Berlusconi, e che ne è diventata la tomba, le corone di fiori, le maglie da calcio, le foto. Una villa maledetta per la storia della povera erede Casati Stampa; una dimora divenuta, poi, simbolo di potere e riservatezza e poi ancora gaudenza, con quelle siepi impenetrabili oltre cui, per chi come chi scrive viveva lì vicino, l’immaginazione disegnava scenari fantastici, leopardiani.

Mi sono sempre chiesto come potesse la gente votarlo, quando, razionalmente, era assurdo, soprattutto per i poveri. L’ho capito, forse, meglio ieri sera.

Raccolgo un blocco, la grafia leggera, giace in mezzo ai fiori. “Caro presidente, ho 25 anni, e sono felice di aver fatto in tempo a votarla due volte” scrive un giovane. “Non ci siamo mai conosciuti se non attraverso la televisione: ma, dopo la sua morte, mi sento orfana per la seconda volta” piange una signora in stampatello rosso.

Le parole che ricorrono nelle dediche sono sempre le stesse: sogno, entusiasmo, speranza. Nei pensieri dei poveri che votavano Berlusconi – invece che a sinistra, come si converrebbe – di razionale c’era poco. Era piuttosto la ricerca di un’Italia da anni Cinquanta a muoverli, quella del boom economico, dove tutto pareva possibile e un Paese di analfabeti diventava la settima potenza del mondo.

Sul ruolo di Berlusconi si pronunceranno gli storici. Il cronista deve limitarsi a registrare che si è trattato di un’illusione. Ma una tale professione di affetto non può lasciare indifferenti. Saranno almeno trenta metri densi di storie calcistiche e politiche, che a leggerle tutte ci si impiega un’ora, con qualche occhiataccia delle pattuglie dei carabinieri di posta di fronte al cancello. Con qualche esagerazione ( “Nobel per la pace postumo”), ma non è il caso di sottilizzare.

Ogni tanto si ferma una macchina. Qualcuno scende per portare un saluto. Guarda un istante, si lascia colpire dall’impatto visivo di questo accrocchio. Rumore di sportelli, rimette in moto, parte. Su Arcore cala di nuovo il silenzio , come una coltre spessa che avvolge le siepi e l’erba umide.

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Berlusconi, ritratto di un leader controverso

Ha segnato cinquant’anni di storia italiana. Se ne va in silenzio in un letto d’ospedale, tutto il contrario di una vita trascorsa sotto le luci dei palcoscenici che, di volta in volta, si era scelto. E dove aveva trionfato. Prima l’imprenditoria, poi il calcio, infine la politica. Controverso, ma vincente. Spregiudicato, ma simpatico. Circondato da una pletora di cortigiani, ma solo, come raccontato nel Loro di Paolo Sorrentino, forse il miglior ritratto dell’uomo nato all’Isola, quartiere milanese ai tempi non ancora gentrificato, e vissuto ad Arcore, in quella Villa San Martino che del suo potere divenne il simbolo. Non compì mai la rivoluzione liberale che aveva promesso, troppo occupato a difendersi nei processi che lo videro imputato, e da cui riuscì quasi sempre a salvarsi. Silvio Berlusconi appartiene a un’epoca della storia nazionale in cui complicità inconfessabili erano tollerate nel nome della stabilità dello Stato. Chissà se a ragione. Chi è venuto dopo è suo figlio, e spesso lo ha fatto rimpiangere. Come figlia sua è l’Italia di oggi, plasmata dalle televisioni, dal suo ottimismo illogico, dal suo populismo da bandana. Si spegne solo, in quel San Raffaele che, anch’esso, era una sua creatura. I vecchi lo sentono vicino, i giovani non lo odiano più. Resta, in quelli di mezzo , l’acredine, spesso stemperata dall’oblio. Lo disse lui di Gheddafi: sic transit gloria mundi.

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