Ieri sera ho riguardato i filmati che avevo girato a marzo a Milano, durante il primo lockdown. Ricordavo con angoscia una città deserta, come sopravvissuta a una bomba nucleare, tanto da tenerli nascosti per nove lunghi mesi senza trovare il coraggio di tirarli fuori. E invece.
Non lo avrei creduto, ma i fotogrammi di piazza Duomo vuota, dei Navigli puntellati da rarissimi passanti non mi hanno fatto un grosso effetto.
Mi è sembrato normale.
Ecco la forza dell’abitudine, dello spirito di adattamento, la potenza che ci portiamo dentro. A volte ci incarta; altre, invece, ci aiuta a sopravvivere. Ciò che pochi mesi fa appariva impensabile è diventato una seccatura: fastidiosa, certo, ma tutto sommato accettabile. Passerà, ci diciamo, e andiamo avanti un altro giorno.
Il virus ci ha colpiti, scioccati, ha liberato le ansie che nel nostro vivere di corsa riuscivamo, con fatica, a tenere a bada; e ci ha costretti a confrontarci col buio che ci portiamo dentro, con il lato oscuro delle nostre vite, relazioni, con quello dei nostri lavori.
Ma guardare in faccia l’abisso rende tutto un po’ meno pauroso. E la pece si diluisce e si dilegua poco alla volta, come allungata dall’acqua del tempo. Buon Natale, ovviamente. Ma, soprattutto, buon anno a tutti.