cronaca

Perché è sbagliato pubblicare i nomi degli stupratori di Gisele Policot

Sono tanti gli organi di informazione internazionali (dalla BBC al New York Times al Guardian, compresi alcuni media italiani) ad aver pubblicato la lista e le biografie dei cinquanta uomini (o solo di alcuni) condannati per aver abusato di Gisele Pelicot. La donna francese, ha riconosciuto in primo grado una giuria di Avignone, sarebbe stata drogata e abusata inconsapevolemente per anni con la regia del marito Dominique.

Sarebbe stato proprio il consorte a reclutare gli uomini sul web. Secondo la corte, gli uomini – camionisti, dipendenti informatici, un giornalista, carpentieri – sarebbero stati consapevoli dello stato di incoscienza della donna. Persone che avresti potuto avere come vicini di casa, commentava la stampa transalpina.

Una vicenda che ha scosso il mondo, e non solo la Francia. La corte ha proceduto a effettuare i rilievi e ha preso una decisione meditata per il reato commesso da Dominique Pelicot e dagli altri cinquanta uomini. Il primo ha preso vent’anni, massimo della pena, gli altri condanne variabili. Ci sono dieci giorni per fare appello.

Eppure, se l’indignanzione per il reato è comprensibile, non capisco, e non giustifico, l’esposizione al pubblico ludibrio della lista dei nomi.

Tra le torture medievali c’era la gogna. Poi, fortunatamente, in Europa abbiamo avuto l’Illuminismo. Quindi, Cesare Beccaria. Quindi, la civiltà giuridica, che tanto ancora stenta se guardiamo alle nostre carceri.

Ecco: in questo contesto che ha superato la barbarie, le sentenze e le pene le comminano i tribunali.

Non le persone in piazza, men che meno i giornalisti, categoria che ha ben poco di cui vantarsi. E verso cui, mediamente, non nutro particolare stima per la supponenza e l’arroganza che ne caratterizzano buona parte.

Scrivere su internet i nomi dei condannati per reati sessuali – notoriamente puniti anche dal codice non scritto dei detenuti – è un orrore civile.

Sono pubblici, si dirà. Ma che si vadano a cercare alla fonte, obietto. E il diritto all’oblio? Il fatto che queste persone resteranno marchiate a vita, in spregio alla funzione rieducativa della pena? La legge del taglione, la vendetta sono concetti barbari, che meglio sarebbe restassero confinati nel passato.

E invece mi pare che la nostra civiltà sia sempre più plasmata dalla pubblica piazza dei social network e dei talent show, regno dei leoni da tastiera e dei polemisti di professione. Manca la calma, manca la riflessione. Manca l’autocritica. Che porta alla consapevolezza che si può sbagliare, si deve per questo pagare, e che poi, si può, si deve tornare alla vita. Perché lo diceva qualcuno un paio di millenni fa: chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Standard

Lascia un commento