Ogni volta che lo intravedo, Bernie Sanders è capace di emozionarmi. Come Pepe Mujica, ex presidente del l’Uruguay. O come certi grandi del nostro passato, a partire da Pertini. Dieci milioni di donazioni da 18 dollari l’una in media: questo il budget della sua campagna per contrastare le corazzate multimiliardarie di candidati ricchi e potenti, e garantire sanità a tutti. In un paese dove il denaro sembra essere la misura di tutte le cose, figure del genere sono rare. Anche altrove, mi viene da dire.
Non è andata bene, forse bene non poteva andare; ma è stato bello assistere alla corsa di un anziano diventato idolo dei giovani. Un uomo che, invece di cedere al cinismo e al disincanto dell’età, in una sorta di processo machiavelico al contrario, con gli anni è stato capace di osare sempre più.
Sanders ha mostrato che le collusioni col business peggiore, di cui la politica sembra non potere più fare a meno, non sono una necessità, ma una scelta. E che anche il cinismo lo è. Apprezzo Conte e la sua capacità di rassicurare il paese, ma un uomo come Sanders, col suo carico di primavere, aiuterebbe in questo momento.
A Milano qualcosa comincia a muoversi. Un ferramenta che torna ad aprire, una signora anziana che fa la spesa e sorride nel negozio sotto casa, un runner che corre. Danno una parvenza di normalità, assieme al sole di questi giorni. Ma inutile negarlo, la clausura pesa. Sul morale, sul fisico. I dati sono confortanti ma non basta. A volte c’è bisogno di una figura a cui ispirarsi.
Intanto, certa stampa (e l’opinione pubblica) continuano a insistere sui test sierologici. Peccato non siano ancora validati, quindi non sicuri. Il Times di Londra (il Regno Unito ne ha acquistati tre milioni), dopo aver approfondito, è arrivato alla conclusione che non fare nessun test è meglio che usarne uno che sbaglia, anche solo del 5%. La matematica dice che potrebbe significare mandare in giro come “sani” centinaia di migliaia di individui che non lo sono. Evidentemente non è sufficiente. Auguri.