Belfast, 2019. Incontro Jim, un veterano del conflitto armato, parte unionista, i protestanti. Ha combattuto, è stato in prigione, ne è uscito: il volto, il tono della voce, lo sguardo sono ancora modellati da quegli anni. Le rughe, la fronte ne portano i segni, solcati da linee profonde. Non si può comprendere la questione irlandese senza parlare con gli abitanti dell’Ulster. A Belfast ci sono murales che inneggiano alla violenza, palazzi colpiti da raffiche di mitra che mostrano i buchi dei proiettili. In cielo volavano gli elicotteri, per strada i carri armati Tutti hanno perso qualcuno. Jim mostra le immagini dei combattenti, le tombe. Ha dedicato l’esistenza a un pezzo di terra che a guardarlo potrebbe sembrare insignificante, per quanto è simile a tanti altri, scagliandosi contro coetanei, entrambi nel fiore degli anni, entrambi che hanno speso la parte migliore della vita in galera. Le sue parole sono di una lucidità dilaniante. Ancora oggi la cadenza delle sillabe fatica ad abbandonarmi. “Il conflitto è diventato parte della mia vita – dice – L’ho accettato per quello che era, e ho accettato anche il mio ruolo in esso. Ho perso per strada degli amici, alcuni membri della mia famiglia. Ma era parte del viaggio”. Era possibile non essere coinvolti? chiedo. “Era difficile non esserlo, avevo un fratello in un’organizzazione, io ero in un’altra […] e c’erano momenti in cui si ammazzavano”. Quali le conseguenze dei Troubles, per la gente oggi? “Credo che la gente sia ancora alle prese con l’eredità del conflitto. Qualcuno la gestisce bene, qualcun altro non ce la fa. Penso che abbia colpito le persone in maniera differente, capisci cosa intendo?”.
Qui il video (riproduzione riservata, lo scrivo se qualche simpaticone avesse voglia di ripubblicarlo senza chiedere l’autorizzazione, e credetemi, càpita anche questo.)