ambiente, cronaca, sostenibilità

Alluvione in Romagna, non sempre c’è un colpevole

Proviamo a fare il punto a mente un po’ più lucida su questi giorni di alluvioni e disastri in Romagna. Tanti – e anche molti giornali – parlano di urbanistica, consumo di suolo, di responsabilità delle amministrazioni: ma è solo una parte del problema, un altro modo per buttarla in politica, o in caciara.

Le alluvioni ci sono sempre state; l’aumento della frequenza è attribuibile al riscaldamento globale. Ciò premesso, certamente le politiche di gestione del territorio possono aiutare a controllarne gli effetti; ma non si può impedire agli eventi di verificarsi, lasciando passare il concetto (tristemente giornalistico) del “mai più”, come qualcuno si fosse dimenticato di spegnere l’interruttore. La natura non funziona così. Ha sempre colpito con violenza, e di fronte alla potenza degli elementi siamo stati – e restiamo – piccoli. Anche quando crediamo di poterla dominare. Anche se a una società senza dolore piacerebbe che esistesse una leva da tirare per potersi liberare di questi fastidiosi imprevisti.

Non solo. Occorre un po’ di onestà intellettuale. L’agricoltura, come quella praticata in Romagna, consente al nostro Paese di avere grande disponibilità di prodotti di qualità a prezzi accettabili; fatevi un giro all’estero per capire cosa significa mangiare melanzane che non sanno di nulla, o seguire, per una vita, una dieta a base di carne e patate. Prendersela con la coltivazione intensiva senza sapere di cosa si sta parlando non rende onore all’intelligenza di chi pontifica. Il nostro stile di vita, quello che amiamo perché così piacevole, passa innanzitutto dal cibo. Senza agricoltura intensiva, ci troveremmo pomodori a 15 euro, e a poterseli permettere sarebbero solo i ricchi. Il fatto che a Milano e Londra già accada non significa che sia un buon esempio. Ragionare così è una mancanza di rispetto per chi di agricoltura vive, senza guadagni spropositati, e nelle ultime settimane ha perso molto. Certo, il suolo può essere usato meglio di oggi; ma serve tempo per rompere gli schemi consolidati, per insegnare nuove tecniche, insomma, per imparare. E la storia dell’umanità insegna che un solo grande evento avverso vale più di mille ragionamenti, di migliaia di pagine e discorsi.

Terzo punto. Mi pare di aver letto – ma potrei sbagliare – che solo il 5% delle abitazioni in Italia sia provvisto di un’assicurazione contro i rischi di questo tipo. Forse converrebbe cominciare a pensarci. Anche perché, in maniera tutto sommato controintuitiva, le compagnie hanno tutto l’interesse a lottare contro il cambiamento climatico: liquidano danni per decine di miliardi l’anno a causa degli eventi estremi, e la cosa inizia a pesare sui conti. Con la massa di capitali di cui dispongono, sono un ottimo alleato per portare avanti le negoziazioni dove conta, cioè a livello internazionale, dove si decidono le sorti delle nostre economie, e del futuro, anche climatico. Sia chiaro: le assicurazioni non agiscono e non agiranno mai per filantropia: è mero interesse, che però andrebbe sfruttato. Anche pungolandole quando fanno greenwashing, come non di rado accade.

In definitiva, migliorare l’adattamento si può, ma nessuno – nessuno – potrà garantire che tragedie del genere non accadano più. Meglio prepararsi al futuro tenendo conto dei vincoli, economici e non solo, che abbiamo. Vogliamo andare su Marte, ma restiamo sempre piccoli rispetto all’universo. I giornali non aiutano a ristabilire le proporzioni. Per me il consiglio resta il solito: disintossichiamoci dalle news. Soprattutto quelle online.

(foto Lapresse, a dispozione per rimuoverla)

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