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Come distruggersi la reputazione online

Siamo in una civiltà molto più integrata, digitalmente parlando, di quello che ci piaccia pensare.

Chi per mestiere lavora anche lontanamente sul web non può permettersi di non conoscerne le dinamiche, o come direbbero i manuali, di non controllare le voci che lo riguardano nelle SERP di Google. Ma anche chi si occupa di altro dovrebbe stare attento a quello che pubblica. Blog, profili Facebook, account Twitter, Pinterest, Google Plus: qualunque  azione eseguita in Rete può vivere in eterno, e bisogna tenerne conto.

Si sente spesso dipingere il web come garanzia di libertà. Vero, ma nel 2014 mi sembra ora di ridimensionare questa affermazione, e relative aspettative.

Internet e la Rete non sono Dio. Molte delle potenzialità di questo medium sono ancora inesplorate: buona parte di ciò che si può fare online  non è stato probabilmente nemmeno immaginato, ma esistono limitazioni importanti,e note. Grazie al web abbiamo avuto wikileaks, e abbiamo saputo delle rivoluzioni in Nord Africa in tempo reale. Ma alla Cina è bastato stringere un accordo con Google per eliminare dai risultati del motore di ricerca quelli sgraditi al regime.

Non mi sembra quindi il caso di lasciarsi prendere da facili entusiasmi.

Già anni fa i più pessimisti mettevano in guardia dal Grande Fratello digitale, teorizzato da Orwell nel famosissimo 1984. Oggi, il mondo in cui viviamo è molto simile a quello immaginato dallo scrittore inglese. Certo, dipende da come la si prende: a qualcuno dà fastidio, ad altri no.

La conseguenza che vale per tutti, però, è che il privato stia diventando sempre più pubblico.

Fino a qualche tempo fa erano i cosiddetti VIP (e solo loro) ad essere coinvolti dai fenomeni mediatici. Le montagne russe della fama e della celebrità, la polvere del declino, riguardavano pochi individui, peraltro abituati a gestire i rovesci della fortuna.

Oggi puoi diventare milionario a 25 anni con la stessa facilità con cui puoi  bruciarti la carriera per una foto “sbagliata”, per un video che ti riguarda, o per un tweet di troppo.

E la libertà di stampa, la cura di tutti i mali?  In realtà, se la può permettere solo chi  è già qualcuno, magari  un opinion leader o un influencer riconosciuto. Gli altri hanno semplicemente la possibilità di pubblicare e diffondere quello che scrivono in maniera più facile di un tempo. Spesso non si tratta di pietre miliari nella storia del pensiero, ma di colossali stupidaggini che aumentano il pattume informatico: poco importa, l’unica cosa che conta è che le vostre riflessioni in libertà non finiscano sullo schermo delle persone sbagliate. Ad esempio, quelle a cui andate a chiedere un lavoro. La reputazione online conta molto più di quella reale, e guai a cantare fuori dal coro. Sul web tutto resta, e per sempre.

Non solo. Su ognuno di noi esistono potenzialmente banche dati che tracciano i nostri profili di consumo e utilizzo dei beni. Abitudini di cui spesso siamo totalmente inconsapevoli (del resto, la psicoanalisi in buona parte si occupa di cose del genere: è riduttivo, ma rende l’idea). Ma mentre Freud e compagnia cercavano di guarire le persone e le loro nevrosi, qui si tratta, nel migliore dei casi, di fare quattrini. Per non parlare dei dossieraggi, dei killeraggi mediatici, dei “metodi Boffo”, derive estreme di questi giganteschi archivi. Un qualunque smanettone può ricostruire la vostra vita in pochi clic e usarla nella maniera che gli conviene. Tutto perfettamente legale, o quasi.

Il consiglio pratico a questo punto è ovvio: prima di scrivere sul web e anche sul vostro blog, pensateci bene. Al di là delle denunce a cui potreste andare incontro – argomento peraltro non trascurabile-, domani potreste chiedere lavoro proprio all’azienda di cui parlate male. Non vi convince? Ragionate così: l’head hunter che vi sta cercando, quando avrà davanti il vostro profilo e si domanderà se chiamarvi o meno per un colloquio, prima di decidere digiterà due semplici paroline su Google: il vostro nome e cognome. Da quello che vedrà, dipenderà la vostra carriera.

(La questione si complica notevolmente se parliamo dei giornalisti: le notizie ormai non si cercano, si copiano, e le bufale si riproducono alla velocità della luce. Purtroppo,  le smentite viaggiano molto più piano. Chi si prende la briga di verificare le informazioni lo fa a proprie spese. Cioè, quasi sempre, gratis. E, lasciatemelo dire, non sono in molti. Ma questo è un altro discorso.)

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Una risposta a "Come distruggersi la reputazione online"

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