Fino a pochi anni fa, quando l’informazione era solo cartacea, televisiva o radiofonica, ci pensava il tempo a sfumare i ricordi. Oggi le cose sono cambiate: tutto passa per la rete e le possibilità di archiviazione sono praticamente infinite. Sul web resta traccia di tutto.
Si chiama diritto all’oblio, e in sostanza significa poter richiedere la rimozione dal web dei contenuti che vi riguardano se ritenuti non aggiornati, non pertinenti o lesivi della dignità. Se ne è parlato in un recente convegno a Roma, alla presenza dei massimi vertici di Google, il motore di ricerca più noto del mondo. Non è un mistero che per molti si tratti ormai ormai della vera porta d’accesso al web. Il colosso di Mountain View è parso interessato alla questione, che sta cominciando a proporsi con insistenza nel dibattito pubblico.
Ma perché è tanto importante la tutela del diritto all’oblio? Cerchiamo di spiegarci meglio con qualche esempio. Chi ha commesso un crimine, ma ha già pagato il suo debito con la giustizia, può essere danneggiato nel reinserimento sociale (per esempio, nella ricerca di lavoro) da informazioni datate rimaste online: alla faccia della funzione rieducativa della pena. Restando in ambito giuridico, un errore giudiziario può essere scambiato per verità anche a distanza di anni: basta riprendere con superficialità i risultati di una ricerca, come tipicamente fanno molte testate e blog, e l’innocente torna colpevole. Per non parlare delle foto da sedicenni sbronzi, che potrebbero saltare fuori nel bel mezzo di un colloquio per il lavoro dei vostri sogni. Insomma, la questione riguarda veramente tutti.
Qualche mese fa una sentenza della Corte Europea di Giustizia ha sancito il diritto di un cittadino spagnolo a ottenere la rimozione dei contenuti che lo riguardavano dalla rete. C’è da esultare. Si tratta di un risultato importante, senza scordare che si tratta di una questione complessa e dai confini incerti. Una normativa seria deve contemperare, infatti, due aspetti: il diritto del pubblico ad essere informato (fondamentale in democrazia), e quello soggettivo alla dignità.
Un interessante articolo de Linkiesta fa il punto della situazione. Ovviamente il dibattito è ben lontano dalle conclusioni, ma vale la pena di cominciare a seguirlo, che siate cittadini od operatori della comunicazione. Buona lettura.