A quattro settimane dalla possibile Brexit, Boris Johnson è sempre più solo. Il leader conservatore, diventato primo ministro a luglio, non se la passa bene. Appena insediato, ha perso i primi sei voti del proprio cammino in aula. Dopo aver chiuso il parlamento (e aver espulso 20 storici membri del partito che avevano osato votargli contro) è stato bacchettato dalla Corte Suprema, che lo ha costretto a riaprirlo. Il premier ha dovuto scusarsi privatamente con la Regina che, a quanto pare, sarebbe estremamente irritata perché costretta ad avallare l’improbabile serrata – per prassi il sovrano si limita a ratificare – salvo poi essere corretta da una “semplice” giudice. Stiamo pur sempre parlando di Sua Maestà.
Non è l’unica tegola caduta a Downing Street in poco più di due mesi. Il fratello minore di BoJo si è dimesso da parlamentare e sottosegretario convinto che, con l’oltranzismo sul no-deal, il familiare stia rispondendo al proprio ego più che all’interesse nazionale.
Scotta anche il fronte della vita privata. Nei giorni scorsi si è sparsa la voce che una ex modella e imprenditrice americana, Jennifer Arcuri, avrebbe avuto una storia con Johnson ai tempi in cui questi era sindaco della capitale britannica, ottenendo prestiti e altri vantaggi.
Per finire, Charlotte Edwardes, giornalista oggi al Times, lo accusa di averle toccato una gamba sotto al tavolo durante una cena privata nella redazione dello Spectator, dove entrambi lavoravano alla fine degli anni Novanta. In Gran Bretagna le molestie sessuali sono prese molto sul serio. L’ex sindaco di Londra, peraltro, era il direttore del settimanale. Lei non denunciò per timore di ritorsioni.
Raramente si è visto un fuoco di fila di tali proporzioni su un premier. Ma si tratta dei media e dell’intellighenzia. Nonostante i guai, i sondaggi lo danno ancora abbastanza popolare tra la gente.
Il platinato successore di Theresa May non commenta. Si è limitato a far sapere che non si dimetterà, per non concedere spazio a un’ennesima proroga della Brexit. Per recuperare consenso, rilancia con misure di politica interna, a partire dalla promessa di 40 nuovi ospedali da costruire nei prossimi dieci anni. L’impegno riprende un tema usato durante la campagna per il Leave, quando si ripeteva che i soldi risparmiati abbandonando Bruxelles sarebbero finiti nelle casse (al collasso) del servizio sanitario nazionale.
Mancano quattro settimane al 31 ottobre, e tutto lascia pensare che i colpi di scena non siano finiti.